Onorevoli Colleghi! - In Italia si iniziò ad approvare per la prima volta una legislazione sugli impianti sportivi destinati al gioco del calcio solo a seguito della strage avvenuta nello stadio Heysel di Bruxelles, dove, nel 1985, trovarono la morte alcune decine di tifosi italiani, accorsi al seguito della Juventus per assistere alla finale di Coppa dei campioni contro gli inglesi del Liverpool. Molto si parlò a proposito di quella strage, della struttura di quel vecchio stadio di Bruxelles, con posti in piedi e con le due tifoserie avversarie collocate in un'identica gradinata divisa solo da transenne provvisorie.
      La riflessione sulla struttura degli stadi ha proceduto di pari passo in Italia e in Inghilterra, dove il Governo si impegnò, anche a causa di quell'avvenimento tragico, e poi, a seguito della tragedia nello stadio di Sheffield del 1989 - dove, il 15 aprile, trovarono la morte novantacinque tifosi del Liverpool, a causa del sovraffollamento della curva dello stadio che li ospitava per la finale di Coppa d'Inghilterra contro il Nottingham - a debellare il fenomeno degli hooligan, e ad intervenire direttamente sugli impianti sportivi, generalmente antiquati, in parte ancora in legno e senza minimi requisiti di sicurezza.
      In Italia nel 1989 fu approvata una normativa sulla capienza degli stadi (norme di sicurezza per la costruzione e l'esercizio di impianti sportivi, di cui al decreto del Ministro dell'interno 25 agosto 1989, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 206 del 4 settembre 1989), il primo provvedimento che stabiliva la necessità che in tutti gli stadi italiani superiori ai 10.000 posti venissero considerati solo i posti a sedere e numerati, che alla tifoseria ospite venisse assegnato un apposito spazio all'interno dello stadio, assolutamente distinto da quello della tifoseria

 

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ospitante e che gli impianti superiori ai 20.000 posti fossero dotati anche di televisione a circuito chiuso e di tabellone luminoso, oltre a varie e precise misure di sicurezza.
      Purtroppo a queste disposizioni si fece scudo con un articolo specifico della citata norma (articolo 21) che prevedeva la facoltà di deroghe. E molti stadi non a norma proseguirono a vantare una capienza calcolata anche per posti in piedi, tassativamente vietati dalla nuova normativa. Fino ad allora la normativa relativa alla capienza e alla sicurezza degli stadi italiani era delegata agli organi periferici dello Stato, alle prefetture, ai vigili del fuoco, ad apposite commissioni che, in larga parte, delegavano tali compiti alle società sportive che potevano vendere biglietti anche oltre la capienza, con una cosiddetta «supercapienza», per le partite straordinariamente «appetite» dal pubblico. Così, in Italia capitava che in impianti sportivi oggi riconosciuti, in base alle ultime norme, inferiori ai 10.000 posti, venissero ammassate anche 20.000 o addirittura 30.000 persone. Per fare un paragone interessante, e citando i tabellini apparsi sui giornali sportivi dell'epoca, risulta che lo stadio di Braglia di Modena, nella partita Modena-Juventus del campionato 1963-1964, abbia addirittura ospitato 35.000 persone, a fronte di una capienza poi riconosciuta, in base alle citate norme del 1989, inferiore ai 10.000 posti; che lo stadio di Brescia abbia ospitato, nel campionato 1965-1966, nel match con l'Internazionale, quasi 40.000 persone, a fronte di una capienza riconosciuta, sempre in base alle norme del 1989, di circa 15.000 posti; che allo stadio Fuorigrotta di Napoli, nel campionato concluso con il primo scudetto del Napoli, e cioè quello del 1986-1987, si siano superate le 90.000 presenze, a fronte di uno stadio che, poi ulteriormente ampliato con gradoni nella parte più alta, è riconosciuto capiente per 67.000 posti.
      Le esagerazioni per la vendita dei biglietti e il conseguente ammassamento del pubblico avevano in realtà già creato problemi non di poco conto (si veda il crollo di una gradinata negli anni cinquanta a Firenze). Si trattava però di episodi isolati. Ma negli anni sessanta e settanta non esisteva ancora il problema drammatico dei gruppi estremi di tifosi. Erano presenti molti club organizzati, ma le partite di calcio si disputavano in un clima, se non tranquillo, comunque mai, o quasi mai, propenso a generare aspri e incontrollati conflitti tra i tifosi. Da ricordare, a questo proposito, le trasferte spontanee di decine di migliaia di tifosi ospiti (si vedano negli anni sessanta le carovane di auto infinite sull'autostrada Napoli-Roma) che accompagnavano le grandi squadre in trasferta. Le trasferte erano in realtà anche un'occasione di gita turistica con la famiglia e di incontri conviviali con gli amici. Negli stadi i tifosi ospiti si mescolavano a quelli locali e capitava spesso che le discussioni al massimo degenerassero in qualche spinta o ceffone.
      Il primo episodio tragico si verificò in occasione del derby tra la Roma e la Lazio allo stadio Olimpico, dove un tifoso laziale, Paparelli, venne brutalmente colpito da un razzo partito dalla curva opposta e ucciso. Questo tragico avvenimento, peraltro avvenuto in uno dei pochi stadi d'Italia che non ebbe alcun problema ad essere considerato a norma con le citate norme del 1989, non determinò particolari provvedimenti legislativi.
      Dopo la ricordata tragedia dello stadio Heysel tutto è prepotentemente cambiato. Nonostante le menzionate norme del 1989, sempre, però, attenuate da deroghe e da rinvii, il fenomeno della violenza non solo non si è placato, ma è addirittura aumentato e si è prepotentemente dilatato su molte realtà italiane.
      La normativa per ciò che riguarda la sicurezza degli stadi italiani è divenuta ancora più stringente con i cosiddetti «decreti Pisanu» (del 2003 e del 2005) e con l'introduzione dei biglietti nominativi per tutti i posti all'interno degli impianti sportivi con capienza superiore ai 10.000 posti, con l'introduzione di tornelli di verifica del posto all'ingresso dei vari settori, con l'obbligo delle televisioni a circuito chiuso per tutti gli impianti sportivi oggetto del
 

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dispositivo, con la necessità di vigilanza interna per settore (la presenza dei cosiddetti «steward»), con l'introduzione del Daspo, cioè del divieto a partecipare alle partite da parte dei tifosi violenti, con la necessità di dotarsi del posto di polizia nei pressi dello stadio e con altri provvedimenti.
      Anche in questo caso l'istituto della deroga ha frenato l'attuazione dei provvedimenti e così si è arrivati, anche a seguito dei recenti tragici fatti di Catania e di Cosenza, alle disposizioni del decreto-legge 8 febbraio 2007, n. 8, (poi convertito, con modificazioni, dalla legge 4 aprile 2007, n. 41) recante inizialmente il titolo di «Misure urgenti per la prevenzione e la repressione di fenomeni di violenza connessi a competizioni calcistiche», in cui sono state aggiunte, nel passaggio di conversione, disposizioni relative all'equipollenza delle misure repressive verso chi commette atti contro Forze di polizia negli stadi o nei pressi di questi ultimi, con chi li commette in altre manifestazioni, nonché relative alle spese di messa in sicurezza degli impianti sportivi a carico delle società che li gestiscono. Il nuovo provvedimento abbassa il limite di esenzione dei provvedimenti a 7.500 posti, annulla tutte le deroghe concesse e prescrive una legislazione speciale per gli stadi, di carattere repressivo, con reati e con pene specifici.
      In Inghilterra, intanto, era iniziata già a decorrere dai primi anni novanta una lotta senza quartiere agli «hooligan» e a tutte le organizzazioni del tifo violento sia nel territorio nazionale che nelle trasferte delle squadre di club e della nazionale (nel 1991 sono state create tre nuove fattispecie di reato relative al lancio di qualsiasi oggetto in campo, ai canti e cori ingiuriosi e razzisti nonché all'invasione del campo; poi un nuovo disciplinare nel 1999 ha innovato un gran numero di disposizioni precedenti, ampliando le stesse in ordine al tempo del periodo rilevante per l'applicazione della disciplina speciale e assicurando una migliore applicazione dell'esclusione dagli stadi). Poi, con un ulteriore provvedimento del 2000, il Governo e il Parlamento inglesi hanno ulteriormente inasprito le sanzioni e modificato le procedure in merito ai reati connessi in occasione delle partite di calcio. Contemporaneamente, il Governo inglese ha finanziato una profonda ristrutturazione degli stadi, i più vecchi del mondo, con dispositivi di sicurezza e di comodità (posti a sedere e biglietti nominativi) e con la presenza massiccia di steward all'interno degli impianti sporitivi, ma senza trascurare le misure disincentivanti. In Inghilterra non sono state poste barriere tra il campo e il pubblico e tra i tifosi di diversa provenienza, la polizia resta ai lati dello stadio e delega la sicurezza interna agli steward pagati dalle società, che sono anche proprietarie degli impianti sportivi.
      Tornando in Italia, va segnalato che il citato decreto-legge n. 8 del 2007 ha dato i suoi frutti. Come rilevato da un'indagine recentissima del Ministero dell'interno, nel giro di pochi mesi tutti gli stadi italiani in cui si giocano partite dei campionati di serie A (salvo uno, quello di Catania) e di serie B (salvo sette) sono pronti per la prossima stagione sportiva. L'obiettivo del provvedimento è stato dunque raggiunto.
      Ciò non significa, tuttavia, che gli stadi, sia pure sicuri secondo gli standard imposti dal legislatore, rispondano alle altre esigenze che lo stesso provvedimento ha evidenziato nel momento di apertura di un tavolo straordinario per la ristrutturazione e la costruzione di nuovi impianti sportivi. E cioè, soprattutto, esigenze di confortevolezza e di redditività, che allo stato non sono perseguite in alcun impianto sportivo oggi esistente sul territorio nazionale.
      La presente proposta di legge tenta di coniugare tali esigenze con quelle già esistenti in materia di sicurezza, andando a evidenziare, soprattutto, gli aspetti pratici della questione. Aspetti pratici che si concretizzano, tra l'altro, nelle procedure amministrative per la costruzione di nuovi impianti sportivi e nel passaggio in proprietà privata degli stadi già esistenti, laddove non sia possibile costruirne di nuovi, in modo da alleggerire le casse degli enti comunali e dello Stato.
      Stadi, dunque, che devono essere confortevoli, in modo da consentire un ritorno
 

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massiccio delle famiglie italiane alla fruizione diretta dello spettacolo sportivo e dare redditività, sia in termini economici, offrendo altri servizi di natura commerciale (alberghi, centri commerciali, cinema e quant'altro), sia in termini sociali, con servizi di aggregazione per i giovani e altri centri sportivi polifunzionali. Sarà la società sportiva a promuovere il progetto, ma sarà il comune, soprattutto, a decidere cosa sia più opportuno fare nell'ambito del proprio territorio, tenuto conto delle esigenze della popolazione locale e dei vantaggi che la collettività deve ricavare dagli investimenti in termini di riqualificazione del territorio.
      L'articolo l della presente proposta di legge individua la finalità della legge, che, in sintesi, è quella di consentire in tempi brevi l'ammodernamento, anche attraverso l'adeguamento degli impianti sportivi esistenti, del patrimonio nazionale degli impianti sportivi rilevanti, per fare fronte alle sempre maggiori richieste ed esigenze di sicurezza e di confortevolezza, nell'interesse dello sviluppo dello sport e, conseguentemente, della vita sociale, quindi, in ultimo, nell'interesse della collettività intera.
      L'articolo 2 detta, ai fini della legge, le definizioni di infrastruttura sportiva, complesso sportivo multifunzionale, progetto di massima, progetto definitivo, soggetto proponente e comune.
      L'articolo 3 disciplina l'ambito di applicazione della legge in considerazione della capienza dell'impianto sportivo.
      L'articolo 4 disciplina la procedura per la localizzazione del complesso sportivo multifunzionale, cui si perviene attraverso l'approvazione del progetto di massima presentato dal soggetto proponente, su iniziativa propria o dello stesso comune interessato. In particolare, il comma 3 prevede una conferenza di servizi per il caso in cui nella procedura debbano essere coinvolti altri enti, espressamente prevedendo la facoltà per tali enti di emettere i pareri e i provvedimenti di loro competenza e necessari per la realizzazione del progetto, anche in deroga e in variante a tutti gli strumenti vigenti di rispettiva competenza (siano essi urbanistici, edilizi, commerciali, e via dicendo).
      Il comma 6 dello stesso articolo disciplina la particolare ipotesi in cui l'area localizzata sia, anche parzialmente, pubblica, riconoscendo al soggetto proponente la possibilità di contrattare direttamente con l'ente pubblico proprietario l'acquisizione, a qualsiasi titolo, dell'area. Ciò in quanto il soggetto proponente, una volta avvenuta l'approvazione del progetto di massima e quindi della localizzazione, si configura quale «unico contraente», non sussistendo posizioni concorrenziali da garantire e dovendosi anzi evitare interventi di terzi meramente speculativi e di disturbo alla realizzazione del progetto, dichiarato, ai sensi del comma 4, di pubblica utilità, indifferibile e urgente.
      L'articolo 5 disciplina la procedura autorizzativa per la realizzazione del complesso sportivo multifunzionale, dettando la relativa scansione temporale, nel dichiarato intento di snellire e di velocizzare l'iter di approvazione, attese l'indifferibilità e l'urgenza dell'intervento. Al fine di perseguire tale intento, il comma 5 prevede l'approvazione anche per silenzio assenso e in contrasto con gli strumenti locali (siano essi edilizi, urbanistici, commerciali eccetera), da intendere, conseguentemente variati. Il comma 6 specifica che l'eventuale diniego di approvazione da parte del comune può essere motivato soltanto con riferimento ad aspetti nuovi e diversi da quelli relativi al progetto di massima approvato e prevede, disciplinandolo, l'intervento sostitutivo del Ministro delle infrastrutture, nel caso di progetto meritevole di accoglimento.
      L'articolo 6, al fine di favorire la ristrutturazione delle infrastrutture sportive esistenti, attraverso la privatizzazione disciplinata dall'articolo 7, prevede l'inserimento delle citate infrastrutture nel patrimonio disponibile del comune di appartenenza.
      L'articolo 7 disciplina la privatizzazione delle infrastrutture sportive esistenti, prevedendo l'alienazione anche delle aree e delle strutture funzionali o pertinenziali all'infrastruttura medesima, le quali possono
 

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essere utilizzate continuativamente e non soltanto in occasione degli eventi, secondo le destinazioni che verranno specificate nell'atto di alienazione. Il comma 7 prevede comunque che, in caso di fallimento della società sportiva acquirente, entro dieci anni dall'acquisto, il bene alienato rientri nella disponibilità del comune, affinché sia garantita la finalità dell'utilizzo sportivo.
      L'articolo 8, pur nel rispetto delle competenze locali, prevede agevolazioni fiscali e tributarie, con riferimento però alle sole superfici delle infrastrutture sportive e non anche a quelle relative alle distinte attività e destinazioni consentite nell'ambito dei complessi sportivi multifunzionali.
      L'articolo 9 prevede, invece, la possibilità di sottoporre le infrastrutture sportive realizzate ai sensi della legge ad ipoteca in favore dell'Istituto per il credito sportivo, a garanzia dei finanziamenti eventualmente erogati dal medesimo istituto.
      L'articolo 10, infine, reca l'entrata in vigore della legge.
 

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